Quando si parla di ecologia

Quando si parla di ecologia il pensiero va immediatamente all’energia, all’alimentazione, alla gestione dei rifiuti, ecc.., e si dimentica chi è o chi dovrebbe essere l’attore principale del cambiamento.

A mio modesto parere il disastro ecologico è il risultato delle nostre stesse creazioni e, quindi, il primo rinnovamento ecologico dovrebbe iniziare proprio da noi stessi che potremmo, anzi possiamo, a giudicare da ciò che è stato possibile realizzare nelle città in questione, apportare cambiamenti innovativi.

 

Io ho l’impressione che oggi, chi produce, cerchi il modo affinché i prodotti non durino oltre un certo periodo di tempo, che solitamente corrisponde a qualche istante dopo il termine della garanzia. Non vorrei sembrare una nostalgica, ma ricordate i nostri nonni che parlavano di radio, tv, giradischi, automobili indistruttibili che per decenni avevano svolto il loro ruolo nel pieno delle facoltà. «Eh, le vecchie lavatrici duravano tanto»… «Ah, quei frigoriferi di una volta, potevi usarli per trent’anni ed erano sempre nuovi»… Quelle esclamazioni malinconiche si riferiscono ad un mondo in cui tutto era organizzato per durare.

 

Non c’era alcuna possibilità di sostituire i bene materiali ad ogni minimo guasto. Al massimo si poteva riparare ed, infatti, oltre il 70% dei mestieri era basato sulla specializzazione in un ars riparatoria che permetteva ad intere famiglie di vivere di quel reddito. C’era il calzolaio, il fabbro, l’idraulico, l’arrotino, l’aggiustatore di cucitrici, l’orologiaio, colui che riparava le macchine da scrivere, tutti impegnati a rimettere a nuovo, piuttosto che a produrre da zero, gli oggetti della quotidianità. Oggi, invece, ad ogni versione di cellulari, pc, televisori, frigoriferi, lavastoviglie ecc., è necessario ricorrere all’acquisto di un nuovo modello e, dopo qualche mese, il nuovo prodotto è già non funzionate.

 

La rivoluzione culturale deve necessariamente iniziare dal basso (non possiamo certo aspettarcela dalle multinazionali!), con la volontà di tutti noi di fare la nostra parte per ridurre i consumi, riparare il riparabile, riciclare tutto il resto. Cosa fare concretamente, vi chiederete? Ce ne sarebbero molte cose da fare, o meglio da non fare. Quando, ad esempio, il nostro televisore comprato da qualche mese inizia a fare i capricci, cerchiamo di farlo aggiustare, anzichè buttarlo via, anche se il prezzo della riparazione si avvicina a quello del nuovo modello. Perché nell’immediato potrebbe anche non esserci una grande convenienza dal punto di vista monetario, ma a guadagnarci saranno l’ambiente e gli uomini coinvolti nel continuo processo di produzione ex-novo.È vero che di questi tempi, però, riparare qualcosa è diventata un’impresa davvero ardua, vuoi per la penuria di pezzi di ricambio, anche usati, e soprattutto per la carenza di persone capaci ormai di riparare qualcosa. Proviamoci comunque! Sostituiamo le nostre lampadine (inquinanti, tutte prodotte in Cina, e che, pare, contengano un’enorme quantità di plastiche ed altri materiali non riciclabili ed hanno corroso le mani dei bambini che le assemblavano fondendo metalli pesanti) con le nuove, led o fluorescenti, prodotte nel rispetto dell’ambiente, e magari anche dell’uomo. Mandiamo i nostri bambini a correre nei prati oppure a fare una passeggiata nel bosco anzichè farli rimanere seduti davanti ad un computer. Così facendo contribuiremo a limitare i problemi psico sociali dovuti all’avvento di un mondo virtuale fatto di pc e videogiochi, di iPhone, iPad, Smartphone, Tablet, Netbook, che sono si straordinari congegni di apertura verso il mondo, ma anche l’emblema di uno stile di vita usa e getta, che non solo danneggia l’ambiente, ma a volte sfrutta anche le persone. Abituiamo i nostri figli a vivere nella natura imparando ad amarla e rispettarla. Raccontiamo loro di quel passato non molto lontano che ci ha permesso ai nostri nonni di essere felici anche senza «il modello all’ultimo grido».

Maria Bernasconi

direttore L’altraitalia www.laltraitalia.eu

 

 

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